domenica 25 settembre 2011

Sapersi orientare vuol dire:

Conoscere se stessi e la meta che si desidera raggiungere

Conoscere bene i propri strumenti

Conoscere bene l'attrezzatura occorrente per ciascun percorso

       Individuare il percorso migliore sulla base dei propri strumenti  e dell’attrezzatura richiesta

E' iniziata in questi giorni la distribuzione del materiale nelle scuole aderenti al progetto. Si tratta di tre poster per ciauscuna classe, tre fascicoli per i ragazzi e la guida per i docenti. Alcuni materiali sono disponibili anche su questo blog, in versione integrale. 

lunedì 12 settembre 2011

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A che cosa servono i «neuroni specchio»

Le misteriose cellule nervose che si attivano per «imitazione» dei gesti altrui

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A che cosa servono i «neuroni specchio»
Le misteriose cellule nervose che si attivano per «imitazione» dei gesti altrui

A che cosa servono i «neuroni-specchio»


I «neuroni-specchio» sono cellule nervose del cervello che si «attivano» quando vedono qualcun altro compiere un gesto. «Per esempio» spiega nel video in questa pagina il professor Corrado Sinigaglia, del'Università di Milano, «se guardiamo qualcuno che prendere una tazzina di caffè, nel nostro cervello si attivano le aree necessarie a compiere esattamente quel gesto, anche se noi, nella realtà, poi non lo facciamo>. Questi neuroni, quindi, "riflettono", come uno specchio quello che «vedono» nel cervello altrui. «Si tratta di una facoltà del nostro sistema nervoso fondamentale per la comprensione e l'apprendimento» chiarische il professor Sinigaglia, che terrà una relazione sull'argomento nel corso del prossimo convegno «The future of Science» organizzato a partire deal 18 settembre a Venezia dalla Fondazione Veronesi e della Fondazione Cini.

12 settembre 2011 12:06Video Neuroni Specchio

mercoledì 3 agosto 2011

NEUROLOGIA

Un cortocircuito di informazioni
È nel cervello il segreto dell'ansia

Uno studio italiano svela la causa del disturbo. Tutto dipende da un difetto di comunicazione delle aree cerebrali che controllano lo stress e le emozioni negative: quando due parti dell'emisfero non "parlano" tra loro allora inizia il panico di FLAVIO BINI

ROMA - Se ne conoscono i sintomi più comuni, apprensione, paura, difficoltà di concentrazione, la diffusione - quasi il 2-3% della popolazione - e le possibili terapie. Ora, uno condotto dall'Irccs Medea di San Vito al Tagliamento, in collaborazione con le università di Udine e di Verona, sembra averne identificato anche la causa. All'origine del disturbo di ansia generalizzato c'è un difetto di comunicazione tra diverse aree del cervello. Quando queste non "parlano" tra loro allora scatta il panico. Le zone "osservate" dai ricercatori sono quelle che controllano la risposta allo stress e le emozioni negative, situate nell'emisfero destro del cervello.

"Le aree parietali e callosali posteriori dell'emisfero destro si sa che partecipano alla percezione sociale e al riconocimento del proprio corpo nello spazio ", spiega Paolo Brambilla, 39 anni, coordinatore del team responsabile della ricerca, pubblicata sulla rivista dell'università di Cambridge "Psychological medicine. Gli studiosi hanno però compiuto un passo ulteriore, andando ad indagare l'interconnessione tra queste parti dell'encefalo. "Abbiamo applicato una metodica relativamente nuova, in collaborazione con l'istituto di radiologia dell'università di Udine, che permette di compiere degli studi di connettività tra le varie aree del cervello", spiega Brambilla.

Si tratta, in sostanza, di identificare il livello di "dialogo" tra due aree specifiche dell'emisfero destro,
il corpo calloso destro e la corteccia parietale. Per farlo, e ottenere informazioni sull'organizzazione microstrutturale dei tessuti nella sostanza bianca, la porzione del sistema nervoso responsabile del collegamento e della diffusione dei segnali nervosi, i ricercatori hanno scelto il coefficiente di diffusione dell'acqua (Adcs, Apparent diffusion coefficients), un indicatore che descrive quanto l'acqua si diffonde all'interno di un tessuto.

Un'indagine svolta grazie ad una sessione di imaging con risonanza magnetica, una sorta di "fotografia" del cervello su 12 malati e 15 controlli sani. Soltanto nei pazienti sarebbe stata rilevata questa alterazione nella connettività tra i tessuti. Ma le scoperte potrebbero non fermarsi qui. "Per questo studio abbiamo utilizzato sequenze "tradizionali", non destinate specificatamente alla ricerca", sottolinea il coordinatore del team. "Con sequenze più sofisticate - conclude Brambilla - potremo sicuramente svolgere indagini ancora più approfondite, raccogliendo dati più precisi sull'origine di questo disturbo".
(02 agosto 2011)                                                                                           © Riproduzione riservata

lunedì 1 agosto 2011

LA TESI

Il cervello umano al limite
"Mai più intelligenti di così"

La mente umana pesa poco, ma consuma quasi un quinto dell'energia che serve all'intero organismo. Per questo, sostiene uno studio di Cambridge, ha smesso di crescere. Anzi, rischia perfino di regredire  dal nostro inviato ALESSANDRA BADUEL

LONDRA - C'è un limite anche all'intelligenza e noi l'abbiamo raggiunto: di più non si può, dovremmo consumare troppa energia e avere più spazio in testa. La tesi viene dall'università di Cambridge, dove la scienza ha concluso che la specie umana è giunta a un "altopiano" cognitivo con sopra il nulla.

Finiscono così le speranze di essere una specie ancora in evoluzione, destinata a trasformarsi in qualcosa di migliore, almeno per quel che riguarda la brillantezza del pensiero e le sue capacità di connessione.

Le barriere che portano a questa conclusione sono due. Una la illustra al Sunday Times il professore di neurobiologia Simon Laughlin, autore del libro Work meet life, il lavoro incontra la vita. "Abbiamo dimostrato che, per funzionare, il cervello ha bisogno di consumare energia in misura notevole, proprio come il cuore. E si tratta di un'esigenza così grande da limitare le nostre prestazioni".

Questo perché il cervello umano, pur pesando il due per cento del nostro corpo, assorbe il 20 per cento dell'energia, e le cellule della corteccia cerebrale, che hanno un ruolo centrale nell'attività del ragionare, sono fra quelle che ne richiedono di più. "Per profonde capacità di deduzione - spiega il neurobiologo - ne serve molta, perché il cervello deve trovare nuovi collegamenti fra informazioni che vengono da fonti anche completamente diverse. Tutto ciò significa che c'è un
limite alla quantità di notizie che possiamo elaborare".

L'altra barriera è dovuta a due cause: la miniaturizzazione delle cellule cerebrali e l'aumento delle connessioni fra cellula e cellula - la chiave con cui l'evoluzione ha spinto avanti l'intelligenza - sono arrivate entrambe a un punto limite. Le cellule non possono fisicamente diventare più piccole e le connessioni non hanno lo spazio per aumentare. I neuroscienziati sanno da tempo che il cervello è suddiviso in dieci moduli, ognuno dei quali è responsabile di funzioni differenti, come la vista o il movimento.

I moduli sono collegati da fasci di fibre nervose e c'è chi ritiene che l'intelligenza sia il risultato dell'efficienza di queste connessioni. Lo psichiatra Ed Bullmore, anche lui docente a Cambridge, ha misurato l'efficienza con cui parti differenti del cervello comunicano fra loro, scoprendo che gli impulsi sono più veloci nelle persone intelligenti e brillanti, e lenti in quelle meno dotate.

"L'alta integrazione delle reti cerebrali - spiega Bullmore al Sunday Times - sembra essere associata a un alto quoziente d'intelligenza". Altri ricercatori hanno misurato i fasci nervosi, scoprendo anche in questo caso che quelli più sviluppati, cioè i cervelli più interconnessi, si trovano nelle persone più intelligenti.

La notizia positiva è che abbiamo capito come l'evoluzione ha migliorato le nostre capacità speculative, ma resta quell'incredibile quantità di energia necessaria per partorire un'idea. "Per l'intelligenza si paga un prezzo", conclude Bullmore. Intanto, dal centro clinico di Utrecht, in Olanda, arriva un'altra conferma. Martijn van den Heuvel, docente di psichiatria, studia come le variazioni nell'impianto del cervello influiscano sul quoziente intellettivo. "Confermo: per aumentare il potere del cervello servirebbe un aumento sproporzionato di energia. Fare previsioni su un futuro remoto è rischioso, ma è chiaro a tutti che ci sono forti limiti a un ulteriore sviluppo".

Repubblica Scienze (01 agosto 2011)                                                           © Riproduzione riservata

sabato 16 luglio 2011

Sport e salute mentale

Sport e mente nell'età giovane e adulta

Sport e salute mentale
 
Alcuni recenti studi americani stanno dimostrando che il movimento sarebbe correlato ad una maggiore salute cerebrale anche in età giovane e adulta. In parole povere, chi fa sport non solo rallenta l'invecchiamento del cervello, ma addirittura ne migliora le capacità!
Lo studio più recente è quello condotto dall'equipe di Charles Hillmann (Università dell'Illinois), pubblicato sulla rivista Health Psycology, e ha coinvolto 241 soggetti della periferia di Amsterdam. Sottoposti a una serie di test finalizzati a valutare i tempi di reazione e alcune performance su abilità specifiche che coinvolgevano processi mentali complessi escludendo le reazioni istintive (memoria, capacità di programmare, associazione di idee), è emerso che i risultati migliori in termini di tempo di reazione (non di accuratezza delle risposte) sono stati raggiunti dai soggetti giovani, e da coloro che praticavano più attività sportive.
Questo studio dimostra anche un'altro fattore fondamentale: i risultati più brillanti sono stati ottenuti da coloro che abbinavano sport con componente tecnica diversa. Da queste ricerche è emerso che per ottenere i risultati migliori bisogna combinare sport di coordinazione oculomotoria come il basket, il tennis, il ping pong; sport dove si sviluppano le capacità propiocettive come il nuoto e la corsa, e sport dove si sviluppa l,'equilibrio come il ciclismo e lo sci. Un punto a favore della strategia multisport che ritengo essere vincente nei confronti della pratica di un solo sport.

Un'altro studio del National Institute of Mental Health di Bethesda ha esaminato tramite risonanza magnetica lo sviluppo cerebrale di 13 ragazzi da 4 a 21 anni per un periodo di 10 anni, dimostrando l'importanza dello sport nell'attivazione dei circuiti neuronali. In pratica, secondo questo studio l'attività fisica produrrebbe effetti non solo sulla corteccia motoria e moto-sensoriale, ma anche su altre aree cerebrali, attivando circuiti neuronali e funzioni che possono essere utilizzate nei più svariati campi. E più sono gli sport praticati, maggiore è l'attivazione dei circuiti neuronali in quanto si sviluppano aree cerebrali differenti.

Articolo tratto da:

giovedì 14 luglio 2011

Sport e cervello

LA RICERCA

Ecco perchè è speciale il cervello di un campione

Non solo muscoli. Gli studi neurologici provano che la testa è il vero motore dei successi sportivi. Durante la gara la corteccia motoria è sfruttata al massimo. E questo rende unico l'atleta

di ELENA DUSI
LA VITTORIA è uno stato di grazia. E se i muscoli sono i suoi remi, il timone è nel cervello. Non avrebbe infatti vinto 48 partite sulle 49 giocate quest'anno (di cui 41 di fila) il tennista Novak Djokovic senza una testa ben al di sopra di gambe e braccio. Il segno di un campione è infatti una fluidità di movimento che sfocia nell'eleganza, una capacità di anticipare le mosse dell'avversario che sa di profezia, una tranquillità che sembra spensieratezza. E ognuna di queste caratteristiche, dimostrano ora gli studi neurologici, nasce da un preciso tratto del cervello. Che la testa di un campione sia diversa da quella di una persona normale non è solo una banale intuizione. Oggi è anche un dato osservabile con la risonanza magnetica. Questo strumento dimostra che il cervello vincente è paradossalmente poco impegnato. Quando il neurologo dell'università di Chicago John Milton ha messo una accanto all'altra le risonanze magnetiche di un golfista dilettante e di un professionista, ha notato che le aree attive del cervello del primo erano molto più estese. Il giocatore esperto, nei secondi che precedono il colpo, sfrutta al massimo la corteccia motoria in cui tutto il repertorio dei colpi di un campione è conservato per essere ripescato al momento opportuno. Il golfista professionista di Milton non ha tracce di attivazione dell'amigdala o del sistema limbico (aree legate a timore ed emotività) come accade nell'amatore. "Il cervello di un giocatore esperto, di un ballerino o di un musicista è freddo, concentrato e non ammette intrusioni" scrive Milton. Non deve pensare al gesto atletico, che grazie alla pratica è diventato automatico e parte della sua stessa natura. Ma si focalizza sulle fasi di gioco, e non perde un attimo d'occhio l'avversario.

L'occhio di un campione d'altra parte non è meno speciale del suo cervello. Una ricerca dell'università della Florida pubblicata nel 2007 sul Journal of sport psychology ha dimostrato che le pupille di una persona normale si muovono ogni 150-600 millisecondi, mentre gli sportivi vincenti riescono a incollare lo sguardo alla palla o all'avversario fino a 1.500 millisecondi di seguito. Nelle vene invece scorre la sete di vittoria, principalmente sotto forma di testosterone. Il cosiddetto "ormone dell'aggressività" è associato alla mascolinità, ma i suoi livelli aumentano prima di una gara anche nelle atlete donne, e si mantengono elevati dopo una vittoria per sgonfiarsi invece in caso di sconfitta. Una ricerca presentata al Congresso internazionale di neuroendocrinologia a Pittsburgh nel 2006 ha rivelato che il testosterone aumenta di più quando si gioca in casa. La causa non sarebbe il tifo del pubblico, ma più probabilmente l'istinto di difendere il territorio che scatta nei giocatori.

Non sono dunque soli i muscoli, ma questo mix di fattori a fare di uno sportivo un campione. E a spiegare l'affermazione che lo psicologo americano Timothy Gallwey ha affidato all'ultimo numero di Newsweek sulla "Scienza del successo": "Ci sono molti giocatori con il talento da numero uno. Ma solo uno diventa il migliore". E quando un colpo o un gesto o uno scatto escono dal corpo del campione con il massimo dell'eleganza e dell'efficienza, allora i cervelli dello sportivo e del suo pubblico reagiscono all'unisono con un getto di dopamina, l'ormone della perfetta soddisfazione.

Omaggio ad un maestro: Walter Fornasa

"Dietro a un qualcosa che a volte non comprendi, inaspettatamente esce un qualcosa che ti da una spinta in più"