Simpatica provocazione sul Corriere della Sera del 14 nov 2011
...si calano sulla fronte la cuffia di lana, si fasciano le gambe di calzamaglia nera, fanno partire il cronometro digitale-calcola
pulsazioni-contapassi e partono...

pulsazioni-contapassi e partono...
Dopo una vita di onesto ozio, l’ultimo simbolo del rincretinimento pre-senile
Era solo un sospetto, adesso è una certezza: l’improvvisa passione per la maratona è il nuovo segno inequivocabile del rincretinimento pre-senile del maschio 40/50enne contemporaneo. La prova definitiva me l’ha fornita l’ultima email del mio amico X. Da sempre fiero della sua leggendaria pigrizia e del suo cospicuo appetito, è riapparso qualche giorno fa dopo lunga latitanza. E lo ha fatto spedendomi la foto dell’attestato della sua partecipazione alla maratona di New York (la madre di tutte le maratone-sintomo di rincretinimento pre-senile). Non che sia necessariamente una cattiva notizia: X, come prima cosa, è sopravvissuto. E siccome non lo vedo da tempo, magari nel frattempo ha perso qualche chilo (e – pare – anche diverse unghie dei piedi).
Però, insomma, fino a poco tempo fa ogni donna sapeva che i segni inequivocabili del primo rincretinimento pre-senile del proprio compagno/marito erano fondamentalmente due: l’acquisto di una moto di grossa cilindrata o un improvviso interesse per le under 25. Ultimamente invece impazza il micidiale ultraquarantenne che parla (o scrive a getto continuo sui social network) solo di allenamenti, abbigliamento tecnico, soglie di acido lattico, sfide con se stessi, nutrizione sana, gioia della fatica e tutte quelle cose (tranne i rischi per la salute) di cui tocca sentirsi vantare anche sempre più personaggi noti che trovano interessante metterci a parte delle (loro) gioie della corsa per 42,195 km (una sana mezz’oretta di corsa tre volte la settimana è troppo banale, no?).
Naturalmente, ci sono quelli che corrono da sempre, da molto prima che la maratona diventasse una fastidiosa moda e ovviamente non è di loro che qui si parla. Il problema, non mio, ma di molte donne, sono quegli uomini che, dopo una vita di onesto ozio, da un giorno all’altro si calano sulla fronte la cuffia di lana, si fasciano le gambe di calzamaglia nera, fanno partire il cronometro digitale-calcolapulsazioni-contapassi e partono a ore impossibili per l’allenamento. Svegliando chiunque sia in casa, e magari instillando un sempre meno sottile senso di colpa in chi non li segue né è troppo interessato a studiare le tabelle cronometrate.
Perciò: sicure che la moto di grossa cilindrata sia davvero un male? Almeno qualche gita (per di più a fatica zero) ogni tanto ci scappa.
P.s. Non tutti i mali vengono per nuocere: una piccola malformazione della quinta vertebra lombare mi impedisce qualsiasi attività fisica su terreni duri. Il problema è che le moto di grossa cilindrata non mi sono mai piaciute, e che questo blog, il mio stato civile e il momento storico escludono ironie sulle under 25. Quindi, deve per forza essere in agguato un quarto segno, ancora ignoto, di rincretinimento. Seguiranno, temo a breve, aggiornamenti.

Però, insomma, fino a poco tempo fa ogni donna sapeva che i segni inequivocabili del primo rincretinimento pre-senile del proprio compagno/marito erano fondamentalmente due: l’acquisto di una moto di grossa cilindrata o un improvviso interesse per le under 25. Ultimamente invece impazza il micidiale ultraquarantenne che parla (o scrive a getto continuo sui social network) solo di allenamenti, abbigliamento tecnico, soglie di acido lattico, sfide con se stessi, nutrizione sana, gioia della fatica e tutte quelle cose (tranne i rischi per la salute) di cui tocca sentirsi vantare anche sempre più personaggi noti che trovano interessante metterci a parte delle (loro) gioie della corsa per 42,195 km (una sana mezz’oretta di corsa tre volte la settimana è troppo banale, no?).
Naturalmente, ci sono quelli che corrono da sempre, da molto prima che la maratona diventasse una fastidiosa moda e ovviamente non è di loro che qui si parla. Il problema, non mio, ma di molte donne, sono quegli uomini che, dopo una vita di onesto ozio, da un giorno all’altro si calano sulla fronte la cuffia di lana, si fasciano le gambe di calzamaglia nera, fanno partire il cronometro digitale-calcolapulsazioni-contapassi e partono a ore impossibili per l’allenamento. Svegliando chiunque sia in casa, e magari instillando un sempre meno sottile senso di colpa in chi non li segue né è troppo interessato a studiare le tabelle cronometrate.
Perciò: sicure che la moto di grossa cilindrata sia davvero un male? Almeno qualche gita (per di più a fatica zero) ogni tanto ci scappa.
P.s. Non tutti i mali vengono per nuocere: una piccola malformazione della quinta vertebra lombare mi impedisce qualsiasi attività fisica su terreni duri. Il problema è che le moto di grossa cilindrata non mi sono mai piaciute, e che questo blog, il mio stato civile e il momento storico escludono ironie sulle under 25. Quindi, deve per forza essere in agguato un quarto segno, ancora ignoto, di rincretinimento. Seguiranno, temo a breve, aggiornamenti.

Gli aspetti psicologici dello sport
La rapida marcia del progresso ha giustamente portato la psicologia a contatto con tutte le attività umane, vedendola allargare continuamente i confini delle sue ricerche ed applicazioni, giungendo cosi ad abbracciare anche quella meravigliosa attività che prende il nome di “Sport”.
Esso, da sempre scelta libera, rappresenta un elemento congeniale alla natura umana, un’espressione psicomotoria che è impossibile soffocare, e che, anzi, è bene accettare, divulgare, incoraggiare.
Lo sport, grande educatore dello spirito è rilassamento psichico e, come tale, ha un grandissimo effetto salutare sull’equilibrio psicologico;esso non si limita a distogliere piacevolmente l’individuo dalle sue preoccupazioni, ma agisce in maniera determinante in favore di un sano equilibrio affettivo e sociale.
Oggi esso è infatti molto di più di quanto può ancora chiamarsi svago ricreativo o puro divertimento: è un naturale e sano sfogo catartico delle cariche aggressive tipiche della personalità umana che le difficili circostanze della vita, pressoché infinite, rendono frustranti.
L’attività sportiva infatti, offre una potente forma di scarica delle energie umane: essa consente all’individuo di controllare le emozioni senza negarle né inibirle,permettendo di accettare impulsi ed istinti esprimendoli ed indirizzandoli in un’attività innocua ed in una forma positiva e socialmente accettata.
In questo scenario lo sport diviene un indispensabile mezzo di difesa che permette di avvicinare la realtà in forma più libera e sopportabile, diventando una valvola di sicurezza contro quel penoso senso di incertezza ed insufficienza vitale ravvisabile in uno o più settori della sfera esistenziale.
Lo sport è inoltre movimento e la psicologia considera il movimento stesso elemento vivo della personalità. Muoversi significa relazionarsi con il proprio ambiente di vita, rapportarsi agli altri per soddisfare le proprie esigenze, per trovare una risposta alle proprie domande, per scoprire le caratteristiche degli oggetti mediante l’osservazione diretta e il confronto con le esperienze altrui.
Senza questa componente profonda il movimento perde il suo valore psicologico e formativo per diventare pura ripetizione motoria, utile solo al raggiungimento di una maggiore funzionalità strumentale.
L’esercizio fisico è anche un fenomeno sociale di grandi proporzioni: è l’espressione massima dell’universalità, unisce e livella tutti trascurando ogni differenza, superando ogni barriera sociale, religiosa e confini ideologici e politici.
L’attività sportiva, inoltre, favorisce l’inserimento di un individuo in un gruppo, lo abitua alla convivenza e alla tolleranza sociale; rafforza il suo controllo emotivo e lo spinge a rispettare l’altro, considerandolo non come un avversario, ma come un compagno con il quale confrontarsi, misurarsi e migliorare, un collaboratore per il conseguimento di scopi comuni.
Diviene pertanto un mezzo pedagogico di immenso valore grazie al culto della lealtà e al trionfo della libertà: l’individuo può esprimere la propria esuberanza vitale sentendosi libero ed autodeterminante.
R. M. West, affermava che: “lo sport strappa via di dosso la personalità e lascia brillare il bianco delle ossa del carattere”; questa attività infatti arricchisce la personalità di doti come la volontà, la disciplina, l’autocontrollo e soprattutto il coraggio.
G. A. Sheehan, asseriva: “Lo sport è dove un'intera vita può essere compressa in poche ore, dove le emozioni di una vita possono essere sperimentate in un qualche decina di metri quadrati di terreno, dove una persona può soffrire e morire e poi risorgere ancora. Lo sport è un teatro dove il peccatore può diventare santo e l'uomo comune eroe non comune, dove il passato e il futuro si fondono con il presente. Lo sport è singolarmente capace di darci momenti intensissimi, dove ci sentiamo una cosa sola con il mondo, trascendendo tutti i conflitti e realizzando finalmente il nostro potenziale”.
Lo sport, in definitiva, dà all’individuo l'opportunità di conoscersi e di mettersi alla prova, facendo risplendere quell’ indelebile senso di tenacia e di autoefficacia come desiderio di arrivare oltre l’impossibile.
A cura della dott.ssa Maria Pia di Stasio
LA SALITA
Il richiamo della salita è come un'ispirazione, un desiderio profondo di tornanti che si fanno spazio, sopra i tetti dei paesi, e poi attraverso prati ed alberi verdi di speranza e freschezza, e poi su, in alto, fino alla cima, fino a fare capolino in un cielo denso di vittoria. La salita inizia già dal giorno prima, quando la paura di non farcela si addentra nella permeabilità della coscienza e si gonfia, un po', fino a farti chiedere se, quest'ospite indesiderato, non si farà troppo invadente, fino a farti tremare la terra sotto i piedi. Perché la salita è anche questo, ci si padroneggia e ci si dosa con tecnica e passione, con corpo e anima. Lo sforzo di ogni kilometro ed il coraggio di un cuore, che deve bastare fino ad arrivare in cima. La salita assomiglia a quelle giornate, in cui ognuno cerca di costruire, nello sforzo di crescere, una stanza sicura per la paura. Mentre avanzo non possono mancare anche loro, dentro di me, come fossero lì, tra un respiro e un' altro: mia madre che mi ricorda la pericolosità, che mi esorta nello stare attenta, che abbassa i toni in un senso di pericolo e incita all' evitamento; mio padre che invece vorrebbe vedermi salire coi razzi, con energica incoscienza, ad ogni costo, oltre ogni limite. Ma questa salita è la mia, e tra le voci di questo dialogo nasco io, come ogni giorno, e la faccio mia, in una percorrenza che si tinge della gioia del padroneggiamento, in cui la paura trova spazio e si fa affettuosa compagna di viaggio, che mi permette di non partire in quarta e di arrivare fino in fondo, e l'entusiasmo, il coraggio, l'energia che diventano spinta sicura e giocosa. Volo per i primi 10,5 kilomentri, saluto un poco intimorita e molto concentrata le tegole che mi riempiono gli occhi di un rosso coraggioso e appassionato, e diventano piccolissime, fino a sfocarsi nello sfondo indistinto della mia miopia. Poi arriva il bosco, al 13 kilometro, come nelle fiabe, un bosco fitto e fresco, e, proprio come nelle storie che leggevo, arriva anche il lupo, ritorna la paura, e come piccolina, fischietto, per ingannarla, per lasciarla andare nel momento stesso in cui mi attraversa, le chiedo gentilmente di aspettare ancora un po', di riposare ancora per qualche kilometro.
Prati verdi, bosco, e ancora prati, e ancora salita, salita e salitissima, e curve, e ritorni, e ancora salita, sono gli ultimi 5 kilometri. In quei momenti di fatica estrema la semplicità a riempie i pensieri che diventano belli e genuini. L'istinto di arrivare in cima è qualcosa di irrazionale, di poco verbalizzabile, è una forza d'animo, non solo di gambe, che si accende nella pancia e ti guida, energizza le gambe, mentre la salita impenna e ti chiede di più. Al diciottesimo kilometro arriva anche la cima, che giunge quasi di sorpresa, come un miraggio, dolce come un'enorme torta di compleanno al cioccolato, accesa da un'esubero di candeline, vera come un mare cristallino, e avvolgente di una vittoria meritata e sfacciata. Ogni cosa dentro di me torna al suo posto, le acque si calmano, il cuore rallenta e gode profondamente, le braccia si aprono e si distendono, per sgranchirsi e liberarsi dalla presa del manubrio, si fa silenzio dentro e fuori, si lascia entrare e uscire tutto, e appoggiando la bici al muretto ringrazio, forse un po' me, ringrazio ogni respiro, ringrazio questo sole arancione delle sei e trenta che è proprio il mio preferito e c'è, e sento tutte le persone che a modo loro ci hanno creduto assieme a me.
Corriere della sera 4 settembre 2011
aveva conquistato il titolo nel 2009 a Berlino
La maratona è del keniano Kirui
Abel, 27 anni, è stato ripescato all’ultimo momento grazie ad un infortunio di un compagno. Pertile ottavo
aveva conquistato il titolo nel 2009 a Berlino
La maratona è del keniano Kirui
Abel, 27 anni, è stato ripescato all’ultimo momento grazie ad un infortunio di un compagno. Pertile ottavo
La medaglia d'oro Abel Kirui (Afp) |
Ruggero Pertile (Epa) |
Fabio Monti
04 settembre 2011 14:13© RIPRODUZIONE RISERVATA
04 settembre 2011 14:13© RIPRODUZIONE RISERVATA