Formazione e lavoro

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24 agosto 2011  da ilsole24ore

Confartigianato - Un milione e 183mila giovani under35 sono senza lavoro: Italia «maglia nera» nella Ue

Rosanna Santonocito


Sono un milione e183mila i giovani sotto i 35 anni che non hanno lavoro, 538.000 dei quali vive al Sud. Tra il 2008 e il 2011, negli anni della crisi, gli occupati under 35 sono diminuiti di 926.000 unitá. Ma l'Italia si aggiudica anche il record negativo nell'Unione europea per la fascia di età tra 15 e 24 anni: 29,6%. La media Ue é 21% la media Ue.
La situazione denunciata nel rapporto sulla disoccupazione giovanile realizzato dall'Ufficio studi di Confartigianato conferma e rafforza
i dati diffusi a fine luglio dallo Svimez sul Mezzogiorno, dove due under 35 su tre sono senza un'occupazione e oltre il 30% dei laureati under 34 non lavora e non studia. Se a livello nazionale la disoccupazione di chi ha fino a 35 anni si attesta al 15,9%, le cose vanno molto peggio nel Mezzogiorno, dove il tasso sale a 25,1%, dice il Rapporto di Confartigianato.
La Sicilia è la regione con la maggior quota di giovani disoccupati, il 28,1%. Seguono la Campania con il 27,6%, la Basilicata con il 26,7%, la Sardegna con il 25,2%, la Calabria con il 23,4% e la Puglia con il 23%.
Beneficiano delle condizioni migliori per il lavoro i giovani del Trentino Alto Adige. Qui il tasso di disoccupazione tra 15 e 34 anni si attestal 5,7%. Ma i disoccupati under 35 sono pochi anche in Valle d'Aosta ( 7,8%) e il dato si mantiene sotto il 10 per cento anche nel Friuli Venezia Giulia (9,2%), in Lombardia (9,3%) e in Veneto, con il 9,9%.
Confartigianato stila anche una classifica per province che rivela come a Carbonia-Iglesias i giovani under 35 in cerca di occupazione arrivino a rappresentare addirittura il 38% della forza lavoro. Sono il 35,5 ad Agrigento e il 37,5& a Palermo. Nelle posizioni alte domina Bolzano, con un tasso dii giovani senza lavoro pari al 3,9%, seguita da Bergamo con il 5,6% e da Cuneo con il 5,7%.
Ma la difficoltà di entrare nel mercato del lavoro non riguarda soltanto i giovani. Il Rapporto rivela un peggioramento progressivo della situazione anche per gli adulti. La quota di inattivi tra i 25 e i 54 anni arriva al 23,2%, a fronte del 15,2% della media europea, e va crescendo: tra il 2008 e il 2011 è aumentata dell'1,4% mentre in Europa è diminuita dello 0,2%.
In un contesto così critico, una strada per facilitare l'ingresso dei giovani è rappresentata dall'apprendistato, che la rilevazione di Confartigianato sostiene e rilancia, confermandosi il settore con la maggiore vocazione all'utilizzo di questo contratto.
Se gli apprendisti in Italia sono 592.029 in totale, il 12,5% delle assunzioni nelle imprese artigiane avvengono infatti con l'apprendistato, c
ontro il 7,2% delle aziende non artigiane.
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La riforma dell'apprendistato voluta dal Ministro Sacconi - sottolinea il segretario generale di Confartigianato Cesare Fumagalli - potrá contribuire a ridurre la distanza tra i giovani e il mondo del lavoro. Da un lato, i ragazzi potranno trovare nuove strade per imparare una professione, dall'altro le imprese potranno formare la manodopera qualificata di cui hanno necessitá».
Lo studio di Confartigianato denuncia infatti anche una serie di paradossi legati al sistema dell'istruzione e al rapporto tra formazione e inserimento lavorativo. Per il prossimo anno scolastico 2011-2012, nota il Rapporto, è previsto un aumento del 3% degli iscritti ai licei e una diminuzione del 3,4% degli iscritti agli istituti professionali. Nel frattempo, le imprese italiane, nonostante la crisi, denunciano la difficoltá a reperire il 17,2% della manodopera necessaria.



il 2010 annus horribilis per le nuove generazioni, nord italia peggio della media

Emorragia-lavoro per i giovani
Mezzo milione di licenziamenti

Nell'indagine di Datagiovani la conferma che s'ingrossa sempre più la fila dei Neet

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Giovani senza occupazione, cresce la generazione Neet
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MILANO - Immaginarli simbolicamente all'interno di uno stesso luogo rende maggiormente l'idea. E' come se le migliaia di persone che riempiono piazza San Giovanni a Roma, gremita a festa durante il 1 maggio, abbiano di colpo perso il lavoro. Il dato è impressionante: 500mila di fatto "licenziati" nel solo 2010, con contratti iper-precari non rinnovati alla scadenza (è la pletora dei giovani con contratti di collaborazione a progetto), spin off aziendali che si traducono in un taglio dei costi, finte partite Iva a cui si riducono notevolmente i margini di manovra se l'unico committente per il quale lavorano decide di ridurre le spese dedicate all'outsourcing.
LO SCENARIO - Il centro di ricerche Datagiovani, studiando come si è evoluta la condizione delle nuovi generazioni (sotto i 35 anni) attraverso gli indicatori Istat, traccia un'istantanea preoccupante. Che assume maggior peso specifico, se si ragiona in termini previdenziali, con i nati dopo il 1975 che mediamente - al termine della loro vita lavorativa - percepiranno meno dell'assegno sociale. In dati disaggregati si tratta di circa 210mila giovani che hanno perso il posto di lavoro, a cui vanno aggiunti circa 220mila persone che sono passati dalla condizione di "occupato" a quella di "inattivo", perché si sono rimessi a studiare o perché sono semplicemente scoraggiati. In termini assoluti - rileva l'istituto - sono circa 686mila gli under 35 alla ricerca di occupazione.

LA GEOGRAFIA DELLA "TENSIONE" - E non sorprende che la caratteristica forma a stivale del Belpaese sia in termini - occupazionali - di fatto ribaltata. A soffrire maggiormente le ragioni del Nord, quelle teoricamente deputate a trainare il Paese in termini di produttività. Piemonte, Lombardia, Veneto - modelli di specializzazione produttiva basata sulla combinazione tra le avanguardie nel settore dei servizi (Milano e Torino, le capofila) e il tessuto delle pmi, fortemente presenti nel Nord-est - non riescono ad attrarre forza-lavoro giovane come dovrebbe (impoverendo il Paese anche in termini di innovazione e dinamismo). E soprattutto - scrive Datagiovani - si caratterizzano per un elevato rischio di cessazione di rapporti esistenti (circa il 25% dei disoccupati del 2010 è rappresentato da ragazzi che l'anno prima lavoravano nelle regioni settentrionali). Mentre rispondono meglio - si fa per dire - Molise, Campania e Calabria, probabilmente per un mercato del lavoro molto più statico. Che tende a reagire con maggiore lentezza, in termini positivi come negativi, alla jobless recovery. In un'Italia sfiduciata, preda della speculazione dei mercati e sull'orlo di una nuova recessione.
Fabio Savelli
10 agosto 2011 16:44   Corriere della sera                    © RIPRODUZIONE RISERVATA

Poco preparati per entrare in azienda

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Investire in istruzione come antidoto alla crisi. Lo ha ricordato a maggio scorso l'ex governatore di Bankitalia, Mario Draghi nella sua ultima relazione annuale da numero uno di palazzo Koch. Ma lo dimostrano anche i dati ufficiali. Quelli più recenti, del Cnel per esempio, che hanno evidenziato come il titolo di studio non metta al riparo (in assoluto) dalle difficoltà. Tra il 2007 e il 2010 l'occupazione tra i "colletti bianchi" under 34 è calata di 41mila unità (meno 3,7%).
In ogni caso meno di quanto sia diminuita tra i ragazzi con titoli di studio più bassi. Per chi aveva in tasca solo un diploma, nello stesso quadriennio in esame, la contrazione è stata del 9,7% (pari a meno 246mila unità). Ancora peggio è andata ai giovani con sola licenzia media che hanno lasciato sul campo ben 380mila posti (meno 24,1%, sempre tra il 2007 e 2010). L'aver finito l'università poi (in una condizione di disoccupazione) consente un più agevole ingresso nell'occupazione.
E, dati AlmaLaurea, il titolo di "dottore" ha un "peso" in busta paga diverso dal semplice diploma. Tra i 25 e i 64 anni d'età la retribuzione di un laureato risulta più elevata del 55% rispetto a quella percepita da un lavoratore che si è fermato al semplice diploma di maturità. Insomma, quello che (per ora) non riesce a fare la crescita (che per l'Italia resta debole sia per il 2011 sia per l'anno successivo), potrebbe arrivare da un maggiore investimento nella scolarizzazione dei ragazzi.
Ma sono diversi ancora i nodi da risolvere. A partire da una crescita più robusta del numero di laureati. Nel 2004-2009 la quota di dottori tra i 30 e i 34 anni è aumentata appena dal 16% al 19%. Un livello molto lontano dal 40% da raggiungere nel 2020 fissato dalla Commissione europea. Bisogna fare di più. Come pure sul fronte delle risorse: l'Italia, tra pubblico e privato, spende in istruzione lo 0,88% del Pil (la Germania l'1,07%, il Regno Unito l'1,27%, la Francia l'1,39%, gli Stati Uniti il 3,11%). C'è poi da fare i conti con un gap (in alcuni settori, molto vistoso) tra formazione dei ragazzi e mercato del lavoro. Emblematico è il caso dei diplomati tecnici, di cui le imprese (ultime rilevazioni Excelsior-Unioncamere) hanno forte bisogno, ma non riescono a trovare.
Di «disallineamento di competenze» parla spesso il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, che ha portato a casa giovedì un importante riforma, quella dell'apprendistato, che punta proprio (attraverso un mix di formazione e pratica sul campo) a ridurre questo problema. Anche l'apertura del collocamento agli istituti scolastici va in questa direzione. Ma lo sforzo principale deve arrivare dalla scuola e dalla sua capacità, ha ricordato il ministro Mariastella Gelmini, di sfornare giovani competenti. Ancora oggi infatti molte aziende non si fidano della preparazione dei ragazzi. Lo scorso anno a un convegno alla «Sapienza» anche l'ex presidente dell'Invalsi, Piero Cipollone ha rilanciato questo aspetto, parlando dell'esame di maturità. Una prova che costa all'Erario circa 200 milioni e poi, due mesi dopo, le università, con i test d'ingresso, valutano nuovamente le competenze delle neo matricole. E spesso le giudicano non all'altezza.

Omaggio ad un maestro: Walter Fornasa

"Dietro a un qualcosa che a volte non comprendi, inaspettatamente esce un qualcosa che ti da una spinta in più"