sabato 16 luglio 2011

Sport e salute mentale

Sport e mente nell'età giovane e adulta

Sport e salute mentale
 
Alcuni recenti studi americani stanno dimostrando che il movimento sarebbe correlato ad una maggiore salute cerebrale anche in età giovane e adulta. In parole povere, chi fa sport non solo rallenta l'invecchiamento del cervello, ma addirittura ne migliora le capacità!
Lo studio più recente è quello condotto dall'equipe di Charles Hillmann (Università dell'Illinois), pubblicato sulla rivista Health Psycology, e ha coinvolto 241 soggetti della periferia di Amsterdam. Sottoposti a una serie di test finalizzati a valutare i tempi di reazione e alcune performance su abilità specifiche che coinvolgevano processi mentali complessi escludendo le reazioni istintive (memoria, capacità di programmare, associazione di idee), è emerso che i risultati migliori in termini di tempo di reazione (non di accuratezza delle risposte) sono stati raggiunti dai soggetti giovani, e da coloro che praticavano più attività sportive.
Questo studio dimostra anche un'altro fattore fondamentale: i risultati più brillanti sono stati ottenuti da coloro che abbinavano sport con componente tecnica diversa. Da queste ricerche è emerso che per ottenere i risultati migliori bisogna combinare sport di coordinazione oculomotoria come il basket, il tennis, il ping pong; sport dove si sviluppano le capacità propiocettive come il nuoto e la corsa, e sport dove si sviluppa l,'equilibrio come il ciclismo e lo sci. Un punto a favore della strategia multisport che ritengo essere vincente nei confronti della pratica di un solo sport.

Un'altro studio del National Institute of Mental Health di Bethesda ha esaminato tramite risonanza magnetica lo sviluppo cerebrale di 13 ragazzi da 4 a 21 anni per un periodo di 10 anni, dimostrando l'importanza dello sport nell'attivazione dei circuiti neuronali. In pratica, secondo questo studio l'attività fisica produrrebbe effetti non solo sulla corteccia motoria e moto-sensoriale, ma anche su altre aree cerebrali, attivando circuiti neuronali e funzioni che possono essere utilizzate nei più svariati campi. E più sono gli sport praticati, maggiore è l'attivazione dei circuiti neuronali in quanto si sviluppano aree cerebrali differenti.

Articolo tratto da:

giovedì 14 luglio 2011

Sport e cervello

LA RICERCA

Ecco perchè è speciale il cervello di un campione

Non solo muscoli. Gli studi neurologici provano che la testa è il vero motore dei successi sportivi. Durante la gara la corteccia motoria è sfruttata al massimo. E questo rende unico l'atleta

di ELENA DUSI
LA VITTORIA è uno stato di grazia. E se i muscoli sono i suoi remi, il timone è nel cervello. Non avrebbe infatti vinto 48 partite sulle 49 giocate quest'anno (di cui 41 di fila) il tennista Novak Djokovic senza una testa ben al di sopra di gambe e braccio. Il segno di un campione è infatti una fluidità di movimento che sfocia nell'eleganza, una capacità di anticipare le mosse dell'avversario che sa di profezia, una tranquillità che sembra spensieratezza. E ognuna di queste caratteristiche, dimostrano ora gli studi neurologici, nasce da un preciso tratto del cervello. Che la testa di un campione sia diversa da quella di una persona normale non è solo una banale intuizione. Oggi è anche un dato osservabile con la risonanza magnetica. Questo strumento dimostra che il cervello vincente è paradossalmente poco impegnato. Quando il neurologo dell'università di Chicago John Milton ha messo una accanto all'altra le risonanze magnetiche di un golfista dilettante e di un professionista, ha notato che le aree attive del cervello del primo erano molto più estese. Il giocatore esperto, nei secondi che precedono il colpo, sfrutta al massimo la corteccia motoria in cui tutto il repertorio dei colpi di un campione è conservato per essere ripescato al momento opportuno. Il golfista professionista di Milton non ha tracce di attivazione dell'amigdala o del sistema limbico (aree legate a timore ed emotività) come accade nell'amatore. "Il cervello di un giocatore esperto, di un ballerino o di un musicista è freddo, concentrato e non ammette intrusioni" scrive Milton. Non deve pensare al gesto atletico, che grazie alla pratica è diventato automatico e parte della sua stessa natura. Ma si focalizza sulle fasi di gioco, e non perde un attimo d'occhio l'avversario.

L'occhio di un campione d'altra parte non è meno speciale del suo cervello. Una ricerca dell'università della Florida pubblicata nel 2007 sul Journal of sport psychology ha dimostrato che le pupille di una persona normale si muovono ogni 150-600 millisecondi, mentre gli sportivi vincenti riescono a incollare lo sguardo alla palla o all'avversario fino a 1.500 millisecondi di seguito. Nelle vene invece scorre la sete di vittoria, principalmente sotto forma di testosterone. Il cosiddetto "ormone dell'aggressività" è associato alla mascolinità, ma i suoi livelli aumentano prima di una gara anche nelle atlete donne, e si mantengono elevati dopo una vittoria per sgonfiarsi invece in caso di sconfitta. Una ricerca presentata al Congresso internazionale di neuroendocrinologia a Pittsburgh nel 2006 ha rivelato che il testosterone aumenta di più quando si gioca in casa. La causa non sarebbe il tifo del pubblico, ma più probabilmente l'istinto di difendere il territorio che scatta nei giocatori.

Non sono dunque soli i muscoli, ma questo mix di fattori a fare di uno sportivo un campione. E a spiegare l'affermazione che lo psicologo americano Timothy Gallwey ha affidato all'ultimo numero di Newsweek sulla "Scienza del successo": "Ci sono molti giocatori con il talento da numero uno. Ma solo uno diventa il migliore". E quando un colpo o un gesto o uno scatto escono dal corpo del campione con il massimo dell'eleganza e dell'efficienza, allora i cervelli dello sportivo e del suo pubblico reagiscono all'unisono con un getto di dopamina, l'ormone della perfetta soddisfazione.

Omaggio ad un maestro: Walter Fornasa

"Dietro a un qualcosa che a volte non comprendi, inaspettatamente esce un qualcosa che ti da una spinta in più"