mercoledì 3 agosto 2011

NEUROLOGIA

Un cortocircuito di informazioni
È nel cervello il segreto dell'ansia

Uno studio italiano svela la causa del disturbo. Tutto dipende da un difetto di comunicazione delle aree cerebrali che controllano lo stress e le emozioni negative: quando due parti dell'emisfero non "parlano" tra loro allora inizia il panico di FLAVIO BINI

ROMA - Se ne conoscono i sintomi più comuni, apprensione, paura, difficoltà di concentrazione, la diffusione - quasi il 2-3% della popolazione - e le possibili terapie. Ora, uno condotto dall'Irccs Medea di San Vito al Tagliamento, in collaborazione con le università di Udine e di Verona, sembra averne identificato anche la causa. All'origine del disturbo di ansia generalizzato c'è un difetto di comunicazione tra diverse aree del cervello. Quando queste non "parlano" tra loro allora scatta il panico. Le zone "osservate" dai ricercatori sono quelle che controllano la risposta allo stress e le emozioni negative, situate nell'emisfero destro del cervello.

"Le aree parietali e callosali posteriori dell'emisfero destro si sa che partecipano alla percezione sociale e al riconocimento del proprio corpo nello spazio ", spiega Paolo Brambilla, 39 anni, coordinatore del team responsabile della ricerca, pubblicata sulla rivista dell'università di Cambridge "Psychological medicine. Gli studiosi hanno però compiuto un passo ulteriore, andando ad indagare l'interconnessione tra queste parti dell'encefalo. "Abbiamo applicato una metodica relativamente nuova, in collaborazione con l'istituto di radiologia dell'università di Udine, che permette di compiere degli studi di connettività tra le varie aree del cervello", spiega Brambilla.

Si tratta, in sostanza, di identificare il livello di "dialogo" tra due aree specifiche dell'emisfero destro,
il corpo calloso destro e la corteccia parietale. Per farlo, e ottenere informazioni sull'organizzazione microstrutturale dei tessuti nella sostanza bianca, la porzione del sistema nervoso responsabile del collegamento e della diffusione dei segnali nervosi, i ricercatori hanno scelto il coefficiente di diffusione dell'acqua (Adcs, Apparent diffusion coefficients), un indicatore che descrive quanto l'acqua si diffonde all'interno di un tessuto.

Un'indagine svolta grazie ad una sessione di imaging con risonanza magnetica, una sorta di "fotografia" del cervello su 12 malati e 15 controlli sani. Soltanto nei pazienti sarebbe stata rilevata questa alterazione nella connettività tra i tessuti. Ma le scoperte potrebbero non fermarsi qui. "Per questo studio abbiamo utilizzato sequenze "tradizionali", non destinate specificatamente alla ricerca", sottolinea il coordinatore del team. "Con sequenze più sofisticate - conclude Brambilla - potremo sicuramente svolgere indagini ancora più approfondite, raccogliendo dati più precisi sull'origine di questo disturbo".
(02 agosto 2011)                                                                                           © Riproduzione riservata

lunedì 1 agosto 2011

LA TESI

Il cervello umano al limite
"Mai più intelligenti di così"

La mente umana pesa poco, ma consuma quasi un quinto dell'energia che serve all'intero organismo. Per questo, sostiene uno studio di Cambridge, ha smesso di crescere. Anzi, rischia perfino di regredire  dal nostro inviato ALESSANDRA BADUEL

LONDRA - C'è un limite anche all'intelligenza e noi l'abbiamo raggiunto: di più non si può, dovremmo consumare troppa energia e avere più spazio in testa. La tesi viene dall'università di Cambridge, dove la scienza ha concluso che la specie umana è giunta a un "altopiano" cognitivo con sopra il nulla.

Finiscono così le speranze di essere una specie ancora in evoluzione, destinata a trasformarsi in qualcosa di migliore, almeno per quel che riguarda la brillantezza del pensiero e le sue capacità di connessione.

Le barriere che portano a questa conclusione sono due. Una la illustra al Sunday Times il professore di neurobiologia Simon Laughlin, autore del libro Work meet life, il lavoro incontra la vita. "Abbiamo dimostrato che, per funzionare, il cervello ha bisogno di consumare energia in misura notevole, proprio come il cuore. E si tratta di un'esigenza così grande da limitare le nostre prestazioni".

Questo perché il cervello umano, pur pesando il due per cento del nostro corpo, assorbe il 20 per cento dell'energia, e le cellule della corteccia cerebrale, che hanno un ruolo centrale nell'attività del ragionare, sono fra quelle che ne richiedono di più. "Per profonde capacità di deduzione - spiega il neurobiologo - ne serve molta, perché il cervello deve trovare nuovi collegamenti fra informazioni che vengono da fonti anche completamente diverse. Tutto ciò significa che c'è un
limite alla quantità di notizie che possiamo elaborare".

L'altra barriera è dovuta a due cause: la miniaturizzazione delle cellule cerebrali e l'aumento delle connessioni fra cellula e cellula - la chiave con cui l'evoluzione ha spinto avanti l'intelligenza - sono arrivate entrambe a un punto limite. Le cellule non possono fisicamente diventare più piccole e le connessioni non hanno lo spazio per aumentare. I neuroscienziati sanno da tempo che il cervello è suddiviso in dieci moduli, ognuno dei quali è responsabile di funzioni differenti, come la vista o il movimento.

I moduli sono collegati da fasci di fibre nervose e c'è chi ritiene che l'intelligenza sia il risultato dell'efficienza di queste connessioni. Lo psichiatra Ed Bullmore, anche lui docente a Cambridge, ha misurato l'efficienza con cui parti differenti del cervello comunicano fra loro, scoprendo che gli impulsi sono più veloci nelle persone intelligenti e brillanti, e lenti in quelle meno dotate.

"L'alta integrazione delle reti cerebrali - spiega Bullmore al Sunday Times - sembra essere associata a un alto quoziente d'intelligenza". Altri ricercatori hanno misurato i fasci nervosi, scoprendo anche in questo caso che quelli più sviluppati, cioè i cervelli più interconnessi, si trovano nelle persone più intelligenti.

La notizia positiva è che abbiamo capito come l'evoluzione ha migliorato le nostre capacità speculative, ma resta quell'incredibile quantità di energia necessaria per partorire un'idea. "Per l'intelligenza si paga un prezzo", conclude Bullmore. Intanto, dal centro clinico di Utrecht, in Olanda, arriva un'altra conferma. Martijn van den Heuvel, docente di psichiatria, studia come le variazioni nell'impianto del cervello influiscano sul quoziente intellettivo. "Confermo: per aumentare il potere del cervello servirebbe un aumento sproporzionato di energia. Fare previsioni su un futuro remoto è rischioso, ma è chiaro a tutti che ci sono forti limiti a un ulteriore sviluppo".

Repubblica Scienze (01 agosto 2011)                                                           © Riproduzione riservata

Omaggio ad un maestro: Walter Fornasa

"Dietro a un qualcosa che a volte non comprendi, inaspettatamente esce un qualcosa che ti da una spinta in più"